mercoledì 2 luglio 2008

LE TROTE DI "RAPIDO".......parte II°

Quel pomeriggio però sapevamo di contravvenire a quelle regole stabilite circa gli itinerari e le raccomandazioni a non allontanarsi molto, ma a Gaetano quella doveva sembrare proprio l’occasione giusta per recarci a pescare in un posto in cui dimoravano delle grosse trote autoctone e, soprattutto, per poter dar vita a quei sogni ed a quel desiderio che oramai lo assillavano quasi tutte le notti da quando, pochi mesi prima, aveva avuto modo di vedere casualmente due di questi stupendi esemplari.

Ogni anno era usanza, per Gaetano e la sua famiglia, passare le vacanze di Pasqua in compagnia dei nonni a Subiaco; sabato, prima della festa, il mio amico aveva accompagnato la madre poco fuori paese per acquistare prodotti dell’orto e uova fresche presso una piccola fattoria; al loro arrivo Gaetano notò la moglie del contadino vicina ad un lavello in cemento, fuori nel patio, intenta nell’eviscerare un grosso pesce…. non gli ci volle molte per capire di quale pesce si trattasse…era una grossa trota lunga intorno al mezzo metro, una stupenda vecchia fario e di sesso maschile, a suo dire, perché aveva la mascella inferiore molto più sviluppata di quella superiore.
L’accurata descrizione che mi fece di quella trota, una sera prima di addormentarci, fù talmente fantastica e precisa da rimanere indelebile nella mia mente sino ad oggi.
Quell’enorme fario, dal corpo slanciato ma possente, aveva dei grossi cerchi biancastri che racchiudevano piccoli pallini di color rosso sangue alternati a grossi pallini neri; le sue grandi pinne erano di un intenso color verde scuro con delle piccole striature rosate; l’addome era di un bel giallo chiaro ed anche dopo la morte la sua livrea non si era minimamente scurita ma aveva mantenuto intatta tutta la sua lucentezza, caratteristica delle trote autoctone o immesse ormai da molto tempo nel fiume…. e non era l’unica trota…. un’altra quasi gemella, solo leggermente più piccola, si trovava già pulita e pronta da mettere in forno su un vassoio di metallo.
Gaetano era rimasto letteralmente impressionato sia dalla bellezza che dalla grandezza di quelle trote e non poté fare a meno di rivolgere tutte le domande che gli venivano in mente alla signora che, gentilmente, si prestò a quel “terzo grado”…..ed alla fine il mio amico ottenne tutte le informazioni che voleva.
Le trote erano state catturate in un tratto di fiume molto impervio e pericoloso dato che si trovava in una stretta gola scavata tra due pareti rocciose pochi chilometri a valle della diga di Jenne.
Non era meta frequente dei pescatori occasionali anche perché difficilmente raggiungibile dalla strada che fiancheggiava la montagna; la scarpata per arrivare al fiume sottostante era profonda parecchi metri dal livello stradale e molto ripida; si poteva scendere solo in un punto ben preciso e solo nei periodi in cui non c’erano state piogge, altrimenti il sentiero ripidissimo diventava pericolosamente scivoloso; anche le possibili aperture della diga, con l’improvviso innalzamento del livello del fiume che ne conseguiva, scoraggiavano quasi tutti dall’avventurarsi in quella gola.
Quasi tutti….ma non il figliolo di quella signora.

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