domenica 18 maggio 2008

NUOVA PESCATA SUL TEVERE

Finalmente qualche ora libera di sabato mattina...dopo un paio di settimane di stress...ed allora ne ho approfittato e mi sono recato a verificare se i primi caldi di primavera avevano risvegliato definitivamente dal letargo i miei "amici" barbi.

Meta della mia pescata mattutina è sempre il tratto tra i due ponti storico-sportivi del tevere......e decisamente la primavera è arrivata anche sul "biondo", visto il completo risveglio della natura........spettacolo solo per "appassionati" e per quei pochi che amano questo fiume.... al contrario di chi non trovasse niente di meglio che il disprezzarlo pubblicamente senza nemmeno mai averlo visto o non avendolo mai "vissuto" pienamente abitando a centinaia di Km. di distanza....ma ancor peggio sarebbe se a criticarlo fosse invece chi è anche nato nella "Caput Mundi" ed ancora ci vive o ci lavora.....
..........Queste sono le acque che scorrono tra la "Storia"...... in cui scorre la "Storia".....sulle cui rive è nata la civiltà nell'occidente.......... questo è il FIUME.





Debbo ritenermi molto soddisfatto della pescata mattutina visto che i miei "amici" pinnati hanno dimostrato il loro pieno risveglio....


alcune foto che immortalano qualcuna delle tante catture.
























lunedì 12 maggio 2008

IL MULINELLO A BOBINA FISSA : parte VII°- pulizia e manutenzione

PULIZIA e MANUTENZIONE

Ognuno di noi auspica per la sua attrezzatura da pesca un lungo periodo di vita e di corretto funzionamento; bisognerà però mettere in atto delle piccole accortezze supplementari, oltre ad un uso corretto e un’attenzione contro errate manovre o urti più o meno accidentali.
Dopo l’uso del mulinello in acque salse, ad esempio, una buona pulizia con acqua dolce e panno asciutto evita alla parte esterna dell’attrezzo di rimanere a contatto con il sale marino.
Molti consigliano di separare bobina e corpo ed immergerli in acqua dolce anche per un’ora…..io non lo faccio mai!!!
L’acqua potrebbe penetrare, tramite alberino o manovella, anche all’interno degli ingranaggi e lì asciugarsi col tempo lasciando dei residui….sappiamo quanto sia “dura” e trattata l’acqua potabile nelle nostre città; ancor peggio sarebbe farla penetrare all’interno del sistema frizione e bagnare i dischi, sia in quella anteriore che posteriore…..ci costringerebbe a smontare ed asciugare i dischi medesimi troppo spesso o lasciarli bagnati ad asciugare da soli nelle loro sedi con l’alto rischio di deformazioni strutturali che comporta il bagnare troppo delle sottili rondelle, se di cuoio o feltro.
Le bobine che montano la maggioranza dei mulinelli sono di tipo coprente; cioè proteggono, da possibili contatti con polveri sabbia ed altro, l’alberino e la parte interna del rotore quindi meglio lasciarle montate senza nemmeno svitare la manopola della frizione e del cambio bobina, in special modo nei mulinelli a frizione anteriore.
Il sottoscritto per pulirli dopo ogni pescata in ambiente salso non smonta nulla ma, o con una rapida passata sotto un leggero getto della doccia o meglio ancora con uno straccio bagnato, strizzato e che non lasci residui, pulisce la parte esterna (bobina con monofilo compresa) accuratamente; un altro panno asciutto mi servirà alla fine per asciugarli (nel caso abbiate possibilità sarebbe utile asciugarli con aria compressa a pochissimi bar di pressione).
La salsedine oltre a poter danneggiare il nostro attrezzo riduce anche la vita del monofilo; molti sostengono che immergere la bobina in acqua dolce con una piccola quantità di leggero detergente possa sciogliere e pulire dai residui di sale il filo imbobinato……ho spiegato prima le ragioni per cui non faccio mai questa operazione che oltretutto ritengo inutile anche per il monofilo; l’acqua salata penetra talmente in profondità tra le spire e, dopo evaporazione, lascia dei depositi difficilmente raggiungibili ed ancor più difficilmente eliminabili con queste operazioni. Si potranno eliminare i residui sulle prime decine di metri di spire del monofilo ma mai su tutto il nylon imbobinato, per questo consiglio di cambiare spesso il filo se lo utilizziamo principalmente per la pesca in mare (ogni 5-8 pescate); in quel frangente, a bobina completamente libera, possiamo pulire in maniera più appropriata e definitiva la stessa prima di riavvolgere il filo nuovo.
Ogni libretto d’istruzioni presente nella scatola dei mulinelli (anche in quelli di fascia più economica) riporta dettagliatamente i punti precisi in cui si dovrà provvedere alla lubrificazione ed all’ingrassaggio.
Il mulinello è un po’ come il motore di un’autovettura ( ritorno al paragone iniziale….) dove è consigliato sostituire l’olio ogni anno o dopo un tot di km. percorsi; questa operazione infatti dipende dal suo utilizzo più o meno assiduo.
Consiglio perciò di provvedere a lubrificare almeno ogni anno (se non due volte l’anno) i punti descritti sul libretto (alcuni mulinelli sono dotati di tappo a vite o sportellino per la lubrificazione anche dei meccanismi interni senza dover smontare il mezzo guscio); ed almeno ogni due anni effettuare una pulizia generale ed un ingrassaggio nuovo dei meccanismi interni, dopo aver accuratamente eliminato prima tutto il grasso vecchio.
Per fare questa operazione bisogna avere una certa conoscenza della meccanica, una certa manualità ed usare prodotti solventi e grassi idonei.
Visto che quest’articolo è espressamente rivolto al neofita il mio consiglio è quello di portare il mulinello (specialmente se un attrezzo di pregio) ad una revisione biennale tramite assistenza.
Non mi sento di darvi informazioni su come smontare un attrezzo (che tra l’altro ha meccaniche molto spesso diverse da modello a modello e da marca a marca), come pulirlo ed ingrassarlo e quali prodotti usare, generici o particolari che siano; sovente sono già le case costruttrici che consigliano l’uso di loro prodotti specifici…..spesso un uso errato di un solvente, di un tipo di grasso, o un non corretto rimontaggio può pregiudicare la funzionalità di un costoso mulinello e quindi la validità della sua garanzia.
Il mio consiglio è, nel caso dobbiate aprire il guscio (o guancia) di un mulinello o svitare qualsiasi altra vite esterna, di non forzarla mai se bloccata ma utilizzare appositi prodotti (tipo Svitol o CRC) che permettono lo sciogliersi delle incrostazioni esterne così da non rovinare irrimediabilmente la testa della vite stessa o il suo passo; in questo modo siete certi che una volta riavvitata per benino al suo posto i gusci, o le parti smontate, combaceranno perfettamente rendendo stagni e protetti i delicati meccanismi interni.

IL MULINELLO A BOBINA FISSA : parte VI°- mulinelli a bobina coperta

I MULINELLI A BOBINA COPERTA


Un ultimo accenno volevo farlo sui mulinelli coperti a bobina fissa; questi modelli, nati soprattutto per la pesca alla passata ed alla trota torrente, sono in genere medio-piccoli o piccoli.
Quelli per trota torrente in realtà possono considerarsi dei semplici raccoglitori di filo non adatti per lanci lunghi o veloci recuperi, con piccolissime bobine e di bassissima capienza proprio perché hanno un piccolo volume e peso contenuto; anche i materiali saranno di media qualità con frizioni molto spartane. Servono solo per avere una riserva di filo in caso di corte passate sotto canna e per non appesantire ulteriormente le lunghe canne teleregolabili.
I mulinelli coperti realizzati per la pesca a bolognese a passata in fiume invece hanno una cerchia di estimatori, ristretta ma fedelissima; un classico rappresentante di questi attrezzi è il vecchio ma sempre ricercato Crack Contact 400 con doppia frizione, una classica ed una a leva, ora prodotto e distribuito da Milo col nome di Tact 5403.
Questo tipo di mulinello ha una buona meccanica, una discreta capacità in bobina, un basso rapporto di recupero, non presenta né rotore né archetto convenzionale ma ha il filo che fuoriesce da una apertura sulla circonferenza della capsula che copre la bobina.
Il sistema di avvolgimento è similare, anche se un po’ diverso; la manovella agisce direttamente sull’alberino interno, a cui è avvitato il copribobina, mentre il movimento oscillatorio della bobina è dato da un supporto apposito aggiuntivo. L’alberino girando fà al contempo girare anche il copribobina (che fa le veci del rotore) che è a sua volta dotata di un perno a scomparsa in sostituzione del rullino guidafilo (mezzo giro di manovella all’indietro ed il perno rientra nel copribobina lasciando libero il filo per il lancio) il quale permette un corretto riavvolgimento del filo sulla bobina interna. La prerogativa di questi mulinelli è quella di ridurre al minimo la possibilità di parrucche nel filo, che di solito viene montato in diametri molto sottili, e preservarlo al contempo dalla luce e da possibili contatti accidentali con la vegetazione fluviale o con la sabbia.

IL MULINELLO A BOBINA FISSA : parte V°- la bobina ed il telaio (chassis)

LA BOBINA e il TELAIO (chassis)

La bobina è un altro elemento molto importante in un buon mulinello ed è giusto spendere qualche parola e qualche consiglio in più.
Il primo consiglio è quello di scegliere i modelli di mulinello che forniscono a corredo due o più bobine ( acquistarne una in più in un secondo momento comporterebbe un costo, in alcuni casi, molto alto e spropositato rispetto a quello iniziale del mulinello stesso) in modo tale da consentire un cambio veloce per poter utilizzare il nostro attrezzo anche con fili di diverso diametro.
Meglio sarebbe se le bobine a corredo avessero capacità diverse tra loro ( ma forse siamo molto esigenti e dovremmo accontentarci), mantenendo al contempo le stesse caratteristiche di peso volume e materiale, in modo da non dover creare uno spessore sottostante o dover imbobinare centinaia e centinaia di metri di filo nel caso volessimo utilizzare nylon di sottile diametro.
Sarebbe anche opportuno che le bobine di ricambio fossero sempre dello stesso materiale (quindi peso, volume e struttura) della bobina già montata a corredo sul mulinello per non trovarci poi, sostituendola con le altre di diversa composizione, con sbilanciature dell’attrezzo o sue oscillazioni.
Le bobine sono tutte dotate di clip ferma lenza per non consentire un’accidentale fuoriuscita del filo durante il trasporto; stampigliato in maniera indelebile lungo la circonferenza hanno anche diverse misure sulla loro capacità di imbobinamento dei monofili con diverso diametro; queste informazioni di solito appaiono con doppia unità di misura: metri e yard ( nel caso fossero espressi solo in yard, sapendo che 1 yard equivale a 0,9144 metri, è facile fare i conti).


In questi ultimi anni con i nuovi materiali a disposizione progettati per usi aeronautici ed aerospaziali le case costruttrici, per via della concorrenza tra loro sul mercato, hanno creato bobine in leghe sempre più leggere e resistenti migliorando anche la loro progettazione ed adeguando la forma e la struttura alle molteplice tecniche di pesca per cui ogni specifico attrezzo viene costruito…..e a noi questo non dispiace per niente.
Nei modelli di prima generazione le bobine erano realizzate in metallo, lo stesso materiale che costituiva il corpo (telaio, guscio, o chassis) del mulinello; facilmente intuibile perciò l’elevato peso di questi attrezzi ed oltretutto, a dispetto dei materiali altamente rigidi e pesanti, molto delicati per fenomeni di ossidazione e corrosione.
In seguito le bobine furono realizzate in materiale plastico più o meno pesante (per i mulinelli di fascia economica ancora in uso) ma facilmente intaccabile dallo sfregamento continuo con il nylon e facilmente deteriorabili col tempo per il contatto con il sale e deformabili dal calore, sino ad arrivare all’utilizzazione di materiali leggeri e resistenti come la grafite e l’alluminio.
Come detto prima la realizzazione di nuovi materiali leggeri e resistenti e le nuove leghe a disposizione hanno portato innovazioni notevoli anche nella pesca sportiva, non solo nel settore delle canne da pesca ma anche nella realizzazione dei mulinelli e delle bobine in particolare.
Le nuove resistentissime e leggerissime leghe di alluminio e titanio, o alluminio e magnesio, con l’aggiunta di strati di zirconio (materiale chimico altamente resistente a tutti i fenomeni di corrosione) sono state utilizzate in principio per la realizzazione delle bobine dei mulinelli di pregio e di altissimo costo, in seguito anche per i mulinelli di buona fattura ma di fascia medio-alta…..quelli con più mercato.
Non solo i materiali di costruzione delle bobine si sono evoluti ma anche la loro forma è stata modificata adattandola per ottenere prestazioni sempre migliori.
Arrivando a realizzare bobine forate in lega, tipo groviera, per alleggerirle ulteriormente contenendo così il peso complessivo del mulinello.
Conferendo loro altezze atte ad un maggiore possibilità di caricamento dei monofili (o dei trecciati di ultima generazione e di grande utilizzo), senza dover ricorrere più alle profonde ma corte bobine a cui eravamo abituati, che se da una parte consentivano di imbobinare grandi quantità di lenze di grosso diametro dall’altra ostacolavano la corretta fuoriuscita del filo in fase di lancio.
Realizzando anche conicità tali da permettere la più perfetta fuoriuscita delle spirali di filo …ottenendo dei risultati irraggiungibili prima.
Le bobine con queste caratteristiche rivoluzionarie, associate anche con i nuovi sistemi di oscillazione a doppia velocità dell’alberino di cui sono corredati i mulinelli di oggi che permettono un perfetto riavvolgimento a spire incrociate della lenza senza più alcuna possibilità di accavallamento delle spire, agevolano ancora di più la corretta fuoriuscita del monofilo nella fase del lancio permettendo di raggiungere facilmente notevoli distanze.
Mulinelli con sistema di avvolgimento a doppia velocità corredati con alte bobine ultraconiche fanno ormai parte della dotazione di molti pescatori che praticano le tecniche del surfcasting, carpfishing e spinning.
Come già accennato anche il telaio del mulinello ha avuto la stessa evoluzione nei materiali utilizzati passando dal ferro ai polimeri di plastica sino ad arrivare alla grafite ed alle leghe di metalli leggeri e resistenti.
Nel caso del corpo in lega c’è da prestare molta attenzione al tipo di verniciatura e di trattamento anticorrosivo utilizzato, alle viti di chiusura (che siano inattaccabili dalla ruggine ed indeformabili), ed alle giunture di congiunzione dei due gusci (che combacino perfettamente e non presentino nessuna feritoia o spazio in cui possa penetrare sabbia, polvere o acqua).
Alcune case garantiscono verniciature antigraffio ed anticorrosione, altre omettono di dichiararlo…… volutamente o no.
Capite da voi che un mulinello è soggetto ad urti continui, così come la vernice che lo ricopre sarà soggetta col tempo a graffiarsi inesorabilmente anche prestando la massima cura ed attenzione nel suo utilizzo, quindi scegliete i prodotti più sicuri o quelli più confacenti alle vostre possibilità economiche ma tenete sempre presente che un buon prodotto, se rispetta tutte le caratteristiche dichiarate, ha si un costo maggiore ma anche un’affidabilità ed una durata maggiore, come maggiore e sicura sarà la garanzia nell’assistenza e nel reperire pezzi di ricambio.
Un ultimo consiglio è quello di non far molto affidamento sulle sigle che identificano ed accompagnano i vari modelli di mulinello, ma bensì di leggere attentamente la capacità delle loro bobine ed il loro effettivo peso totale; spesso sigle come 2500, 4000, 5000 ecc., che stanno ad indicare la fascia di peso, di grandezza e di capacità di un attrezzo, non sempre sono simili in mulinelli di marche diverse; alcuni 4000 (come nella shimano) sono attrezzi dalle giuste dimensioni e capacità da poter essere impiegati con canne bolognesi di una certa metratura o con le match-rod per la pesca all’inglese (un 2500 della ditta sopra citata sarebbe forse un po’ troppo sottodimensionato..); mentre al contrario un 4000 della daiwa risulta essere un mulinello molto più voluminoso e con bobine più grandi, per volume e capacità, quindi adatto a tecniche più pesanti.

IL MULINELLO A BOBINA FISSA : parte IV°- la manovella

LA MANOVELLA

La manovella è forse l’elemento a cui il pescasportivo dà meno risalto nella valutazione d’acquisto di un mulinello pur essendo la leva che riveste la sua importanza sia per un corretto funzionamento che per una giusta bilanciatura del nostro attrezzo.
Essendo una leva è chiaramente sottoposta ad uso prolungato e forti sollecitazioni anche sotto trazione; di solito è inserita in un cuscinetto, e non in una boccola, proprio per consentire una migliore fluidità nel recupero e minor attrito.
I materiali di realizzazione sono i più disparati: dalle leghe metalliche leggere, ma fragili e non resistenti a temperature oltre i 50° come la zama, a leggerissime e resistentissime leghe di alluminio e titanio; anche i pomelli sono realizzati con diversi materiali che vanno dalla semplice plastica sino ad arrivare all’utilizzo di componenti anallergici in gomma sagomata o alla radica ed al legno. I pomelli hanno tutti al loro interno una boccola (anche in bronzo negli attrezzi di fascia medio-alta), inserita in un perno alla fine del braccio della manovella, in modo da poter ruotare su se stessi.
Quasi tutti i modelli di mulinello montano manovelle ambidestre ergonomiche; la possibilità di poterle smontare, e quindi rimontare dalla parte opposta, fa sì che il prodotto possa essere acquistato anche dai pescatori mancini. Spesso sono ripiegabili su se stesse tramite l’allentamento della vite a galletto od un perno ed un pulsante a molla, in modo da potersi avvicinare il più possibile al corpo del mulinello; nei modelli in cui questo non fosse possibile le case produttrici ovviano all’inconveniente adottando il sistema di consentire il ripiegamento almeno del pomello (che è la parte più delicata della manovella) sia per preservarne la struttura da urti accidentali che possono provocarne rotture o deleterie piegature che per un facile imballaggio e trasporto di tutto il mulinello.

In alcuni modelli con discreto rapporto di recupero vengono montate delle doppie manovelle, o meglio una manovella con due raggi e due pomelli; questa manovella innovativa incrementa notevolmente la bilanciatura del mulinello con una drastica riduzione delle vibrazioni.

IL MULINELLO A BOBINA FISSA : parte III°- la frizione

LA FRIZIONE



In linea di massima potremmo descrivere questo meccanismo semplicemente come un comunissimo freno con cui viene esercitata una pressione graduabile che, tramite una manopola a vite ed una molla che agisce per compressione su una serie di dischi di frenaggio, blocca o rallenta per aderenza (o “frizione” per l’appunto) la capacità di rotazione della bobina inserita nell’alberino in modo che il nylon possa essere rilasciato gradualmente rispondendo alla trazione del pesce senza spezzarsi.
La manovra di regolazione della frizione và fatta sempre tenendo conto del carico di rottura del monofilo imbobinato e sempre all’inizio dell’azione di pesca.
Nei mulinelli la frizione viene detta posteriore, quando è posta sulla base del corpo del mulinello, o anteriore quando è posizionata proprio nella parte superiore ed al centro della bobina.
Dire quale sia la scelta migliore tra le due possibilità non è cosa facile per me, in special modo perché ogni tipo di frizione ha i suoi estimatori ed affezionati sostenitori; chi reputa l’anteriore molto più affidabile e meno soggetta a disfunzioni dovute ad urti, granelli di sabbia o ad usura eccessiva, chi invece preferisce la posteriore perché più facilmente gestibile e manovrabile sotto la trazione del pesce.
Mi limiterò solo a descrivere sommariamente il meccanismo dei due tipi di frizioni che se per concetto sono simili, così come simili possono essere i materiali con cui sono realizzati i dischi di frenaggio, molto diverso è invece il modo in cui essi agiscono.
Nella Frizione Anteriore multidisco i dischi sono posizionati ed agiscono direttamente sulla bobina frenandone la rotazione per mezzo di una manopola che si avvita sull’alberino del mulinello; nella posteriore la serie di dischi sovrapposti invece agiscono direttamente sull’alberino del mulinello su cui in questo caso è bloccata la bobina; mulinello che avrà anche una meccanica leggermente diversa, così come leggermente maggiore sarà il suo volume ed il suo peso complessivo rispetto al suo omologo con F.A. Allentando la manopola posta alla base del corpo del mulinello si darà modo all’alberino di ruotare sul proprio asse in modo graduale e progressivo, a secondo di quanto si allenterà la tensione esercitata dalla molla, posta all’interno del blocco frizione, sui dischi.
Importante è conoscere il materiale con cui vengono costruiti i dischi di frenaggio; negli ultimi modelli di mulinelli di fascia alta i dischi vengono realizzati totalmente in carbonio di alta qualità ed in acciaio inox, alternando la loro disposizione in serie; ma tantissimi sono i materiali con cui possono venir realizzati: feltro, cuoio, teflon ecc., dovrete accertarvi sempre però che siano presenti almeno due dischi in acciaio nella serie, e non in ferro per il discorso sulla possibilità di formazioni di ruggine e di corrosione dovuta all’azione della salsedine.
Il loro numero ed il loro materiale varia in funzione non solo del tipo di mulinello ma chiaramente anche per la sua fascia d’appartenenza sul mercato, così come varia anche il metodo progressivo di avvitatura delle manopole; nei modelli migliori e più costosi si hanno frizioni micrometriche regolabili con minimi spostamenti della manopola caratterizzati da piccoli “click” (da qui il nome di micro-click)………………il concetto credo sia molto chiaro, “più spendi più hai dei materiali migliori ed affidabili”.
Negli ultimi anni sono usciti sul mercato molti modelli corredati da una doppia frizione anche se l’antecursore della doppia frizione, frizione posteriore e leva graduale che agisce direttamente sulla frizione principale, è il vecchissimo e mai sorpassato full controll della famosa casa francese Mitchell; pur essendo ormai arrivato alla 4° o 5° serie con un design rinnovato e diverso, il suo funzionamento tramite la leva che dà il nome all’attrezzo è rimasto pressoché invariato.
Altre case produttrici hanno poi immesso sul mercato diversi modelli di mulinelli corredati da una doppia frizione, come per esempio ha fatto la Shimano creando i modelli con leva da combattimento (fightin' drag).


La casa produttrice giapponese della Shimano è stata anche la prima ad aver ideato il sistema chiamato “bait runner” ( “esca che corre” ) molto apprezzato nel mondo del carpfishing e della pesca al siluro; anche altre case produttrici hanno poi copiato il sistema del bait runner affibbiandogli nomi diversi come “free spool” o “free runner”.

Oltre alla classica frizione questi mulinelli sono dotati di un altro dispositivo che per mezzo di una levetta disinserisce completamente la frizione principale e permette alla bobina di girare liberamente (…free spool) in modo che la carpa, il siluro o un grosso pesce possa fare la sua "partenza" con l’esca in bocca indisturbato senza avvertire resistenza alcuna.
Poi basterà agire lievemente sulla manovella del mulinello per disinserire automaticamente il dispositivo del bait runner, ripristinando la frizione principale tarata com’era all’inizio, consentendo così una sicura ferrata.

IL MULINELLO A BOBINA FISSA : parte II°- l'archetto e l'antiritorno

L’ARCHETTO

Una cosa che potete verificare, e vi consiglio di farlo prima dell’acquisto del vostro attrezzo, è assicurarvi della presenza di un cuscinetto in acciaio che riveste importanza fondamentale per l’integrità del vostro monofilo e quindi per l’esito finale di una lotta, che io vi auguro, con una grossa preda: la sua presenza all’interno del nottolino (o rullino) guidafilo posto sull’archetto del mulinello; solitamente negli ultimi modelli di fascia medio-alta il nottolino guidafilo viene montato in dimensioni maggiorate per consentire una guida, un controllo, ed un angolo migliore allo scorrimento del filo.
L’importanza funzionale dell’archetto e del materiale con cui è costruito, della molla di ritorno, e l’efficienza del blocco in fase di lancio sono altri meccanismi del mulinello a cui prestare la massima attenzione, provandone diverse volte il corretto funzionamento prima dell’acquisto.
Due prove potete effettuarle già nel negozio di pesca; la prima consiste semplicemente nell’aprire più volte, e di conseguenza nel richiudere l’archetto girando la manovella, per vedere se questo meccanismo presenti difetti o rallentamenti nel blocco e nello sgancio; importantissima è una chiusura immediata e senza forzature soprattutto in quei modelli di mulinello la cui utilizzazione preveda l’effettuazione di molti lanci consecutivi, quindi soventi aperture e chiusure, come nella tecnica dello spinning; ma direi che un funzionamento corretto dell’archetto debba essere sempre presente su qualsiasi tipo di mulinello.
Per la seconda prova dovrete montare il mulinello che desiderate acquistare su un corta canna o anche sul pezzo di una canna ad innesti che disponga di placca idonea (sicuramente presenti nel negozio di pesca), aprirne l’archetto e frustare il tutto come per effettuare un potente lancio: l’archetto del mulinello deve rimanere aperto e bloccato sino a che non siate voi a girare la manovella per sbloccarlo; un archetto che si dovesse chiudere improvvisamente su sollecitazione nel lancio capirete bene i problemi che può creare, non solo alla canna od al filo, ma anche a voi ed alle persone vicine.

L’ANTIRITORNO INFINITO

La levetta dell’antiritorno infinito è un altro elemento presente nel mulinello; questa levetta se sbloccata permette di girare la manovella, e quindi il rotore del mulinello, sia in senso orario che antiorario dando la possibilità non solo di avvolgere filo ma anche di cederlo; molti usano tenere la levetta sbloccata proprio per poter combattere le prede utilizzando esclusivamente la manovella o un dito per frenare la corsa del rotore sotto la trazione del pesce.
Nel caso di inserimento dell’antiritorno la manovella ed il rotore gireranno solo nel verso di avvolgimento del filo…….per contrastare ed assecondare le fughe del pesce agganciato interverrà in questo caso un altro elemento importantissimo e sempre presente nei mulinelli: la frizione.

venerdì 9 maggio 2008

IL MULINELLO A BOBINA FISSA : parte I°

Caratteristiche principali




Le caratteristiche fondamentali dei mulinelli a bobina fissa a cui possiamo porre un’attenzione immediata sono:
-Il materiale di costruzione: ad esempio se dovessimo acquistarne uno per utilizzarlo prevalentemente in mare dovrà avere un materiale adatto o trattato contro la corrosione dalla salsedine; i modelli di nuova generazione e di fascia medio-alta presentano tutti questa caratteristica quindi, spendendo il giusto, andremo sempre sul sicuro.
-Il loro volume ed il peso: per alcune tecniche come la bolognese, in cui dovremmo tenere la canna in mano per molte ore, la leggerezza del mulinello e la scelta giusta di abbinamento è di fondamentale importanza per non squilibrare una lunga canna e non appesantire tutto il complesso.
Per altre tecniche invece un materiale più robusto ed una meccanica più che affidabile, indi un attrezzo più pesante ed in genere più voluminoso, è indispensabile per l’utilizzo estremo a cui il mulinello può essere sottoposto, pensiamo per esempio allo spinning pesante e alla quantità di lanci e recuperi che si dovranno effettuare ogni ora e con esche a volte di un certo peso.
-La capacità della bobina: di contenere il monofilo che intenderemo utilizzare; è chiaro che all’aumentare della sua capacità aumenterà, di norma nel 90%, dei casi, anche peso e volume dell’attrezzo; solo in alcuni modelli avremo bobine capienti, perché più profonde del normale anche se di diametro ridotto, e montate su dei medio-piccoli mulinelli con un rapporto di recupero molto alto.
Quindi considero fondamentale dare una giusta valutazione a queste prime tre caratteristiche tecniche, di cui è facile ottenere un immediato riscontro, per indirizzarci verso una scelta corretta.
Un altro aspetto da tenere in considerazione è il già citato “rapporto di recupero” …altro non è che un semplice rapporto di moltiplica ottenuto tramite ruote dentate (corona e pignone) poste all’interno del corpo del mulinello che viene espresso con una formula come questa “ 5:1” dove 1 indica un giro completo della manovella mentre 5 sta ad indicare i giri che il filo compie sulla bobina, tramite apposito archetto guidafilo collegato al rotore (o girante) del mulinello, che si ottengono facendo compiere alla manovella quel giro completo, accennato prima, di 360° sul suo asse.
Ad un neofita questa caratteristica, a prima vista, può sembrare secondaria e di non grande rilievo e lo spinge a rivolgere molta più attenzione ad altri aspetti e caratteristiche, invece la conoscenza del rapporto di recupero riveste la stessa importanza degli aspetti elencati precedentemente perchè ci indica soprattutto il tipo di mulinello che abbiamo tra le mani e per quale tecnica è indicato il suo corretto utilizzo.
Un mulinello con rapporto di recupero alto ( da 5.8:1 a 6.5:1 e oltre), che quindi fa compiere per ogni giro di manovella parecchi giri di avvolgimento del nylon sulla bobina, è molto utile per velocizzare tutte le operazioni: per esempio nella pesca all’inglese per un veloce affondamento ed allineamento del filo subito dopo il lancio; di solito sono mulinelli prodotti in piccola e media taglia con bobine di diametro non eccessivo anche se buona capacità, potremmo paragonarli a veloci e piccole vetture di media cilindrata sul piano ma… lente in salita.
I mulinelli con un rapporto più basso ( per ipotesi estrema partendo da 1:1 sino ad arrivare ad un 4.5:1 ) sono mulinelli potenti, dei piccoli argani, adatti a notevoli sollecitazioni ed al recupero di prede di grossa stazza; la capacità della bobina aumenta così come il suo diametro e tutto il peso-volume dell’attrezzo, di conseguenza è facile immaginare per quali tecniche essi vengano utilizzati: una su tutte il bolentino. Se prendiamo ad esempio il paragone fatto prima con le piccole vetture veloci questi attrezzi assomigliano molto a degli autentici trattori in miniatura.
Nella fascia media da 4.5:1 a 5.8:1 troveremo la maggior parte ed il maggior numero di attrezzi, diversificati per materiali, colore, dimensioni, capacità e peso… con quelle caratteristiche specifiche di progettazione per quanto riguarda le bobine, le manovelle, gli archetti ecc. ecc. che ci faciliteranno nella giusta scelta e che tratterò in seguito.
ATTENZIONE però che ad un rapporto di recupero alto per ogni giro di manovella non sempre corrisponde un’alta velocità di avvolgimento del filo, e viceversa….bisogna tenere in considerazione anche le dimensioni della bobina; l’aspetto che molto spesso sfugge al neofita e che alcuni produttori omettono di dichiarare: è la velocità di recupero per ogni giro di manovella.
Facciamo un esempio pratico: prendiamo due mulinelli con bobine di diametro differente, una più grossa dell’altra, diciamo che la circonferenza interna di una bobina sia di 10 cm. e l’altra di 20 cm.; il mulinello che monta la bobina più piccola ha un rapporto molto alto di 6.5:1, l’altro basso di 4:1; ad ogni giro di manovella il primo perciò raccoglierà in totale 65 cm. (10 cm. x 6.5) di monofilo, l’altro invece ne avvolgerà ben 80 cm. (20 cm. x 4) risultando quindi più veloce nel recupero, anche se come prima impressione il rapporto basso faceva presupporre il contrario.
In alcune tecniche una buona velocità di avvolgimento del monofilo è fondamentale (oltre alla pesca all’inglese già citata, lo spinning o lo striscio trota-laghetto sono altri esempi), perciò occorre valutare bene i due parametri suddetti, e quindi il prodotto che si ottiene tra rapporto di recupero e dimensioni interne della bobina, per non sbagliare nell’acquisto.
La conoscenza di quanto filo si imbobina ad ogni giro di manovella oltre a darci visione oggettiva sulla velocità di recupero è utile anche per conoscere, contando i giri impressi alla manovella, la quantità di filo che si sta imbobinando; utile per esempio quando vorremmo conoscere la distanza raggiunta in un lancio…basterà riavvolgere il filo dopo il lancio contando quanti giri faremo della manovella e sapremo in maniera piuttosto precisa la lunghezza che abbiamo ottenuto con la nostra gittata.
Anche quando volessimo fare un’aggiunta di filo nel mulinello su uno vecchio monofilo già esistente contando i giri della manovella, e conoscendo la lunghezza equivalente di imbobinatura ad ogni giro, sapremmo quanto filo nuovo abbiamo avvolto in bobina.
Qualche cenno sulla meccanica dei mulinelli a bobina fissa credo sia dovuto, non perchè prima di scegliere un mulinello dovremmo per forza smontarlo….molti di noi non sarebbero nemmeno in grado di valutarne pregi e difetti o differenze nei materiale costruttivi, ma alcuni consigli dettati dalla mia, ma soprattutto qualificata esperienza altrui, credo possano servire ad orientarvi.
Molto spesso la pubblicità che si fa a questi attrezzi mette in risalto il numero elevato di cuscinetti montati per evidenziare l’efficienza dell’attrezzo…… più è elevato il numero….. migliore è la meccanica, la fluidità e quindi il funzionamento del mulinello…… classica pubblicità ingannevole, spesso non corrispondente a verità!!!!
Ci è voluto una dettagliata lezione di un ingegnere meccanico e lo smontaggio diretto di due mulinelli con caratteristiche diverse, in special modo sulla quantità “presunta” di cuscinetti (uno ne aveva solo 4 più uno “speciale” a rullo, l’altro ben 12), per farmi accettare questo dato di fatto.
La prima cosa da verificare è la veridicità dell’esistenza del numero di cuscinetti dichiarati, seconda cosa l’accertarsi del materiale di cui sono composti, terza ma non ultima conoscere lo scopo per cui sono stati montati.
Nel primo caso dovremmo per forza smontarlo….operazione che non consiglio a nessuno….. per sapere se il numero dichiarato sia veramente il numero di cuscinetti montati nel mulinello, oppure osservare attentamente l’esploso (… la scheda di assemblaggio…) con le sigle ed i codici dei vari componenti per una loro sostituzione in caso di guasto, scheda non sempre presente in tutte le scatole; vi assicuro che spesso vengono spacciati per cuscinetti delle semplici boccole in teflon oppure vengono montati in serie due o più cuscinetti dove ne basterebbe uno solo.
Il secondo caso, che è il più frequente purtroppo, è il materiale di costruzione dei cuscinetti; un buon cuscinetto in acciaio inox (…non parliamo poi di quelli in acciaio rivestiti di speciale ceramica protettiva anticorrosione….e quelli con sfere in ceramica), nelle misure idonee per essere montato sui nostri attrezzi, ha un costo di qualche euro….è semplice perciò fare due conti e capire che per montarne dieci o più in semplice acciaio temperato si arriverebbe ad un costo intorno ai 30-50 euro…..solo per i cuscinetti!!!
Molto spesso quello è il costo medio di un mulinello di medio-bassa fattura (forse solo qualche manciata d’euro in più….) perciò si capisce che a quel prezzo non si può avere un attrezzo che presenti 12 cuscinetti in acciaio inox non attaccabili da ruggine e salsedine ….ma il materiale di cui saranno composti ( acciaio di bassa qualità, ferro o leghe metalliche) spesso sarà molto diverso e di basso costo e potrebbe comportare, anche nel breve termine, problemi di fluidità al mulinello.
Consiglio quindi di diffidare da quelle ditte che non dichiarano, pubblicamente, e non riportano stampigliato sulla confezione almeno il termine “acciaio inox” associato al numero dei cuscinetti.
Nel terzo caso solo l’intervento di un ingegnere meccanico potrebbe far capire l’importanza della fluidità meccanica, dei giochi, e delle oscillazioni; personalmente non sono in grado e vi riporto, a grandi linee e sommariamente, l’analisi e le spiegazioni avute.
“Una buona progettazione, l’uso di materiali idonei (come il bronzo e l’acciaio) per la realizzazione delle ruote dentate (come la corona e il pignone) e dell’alberino, un corretto assemblaggio verificato con prove di sforzo, fa diminuire notevolmente l’utilizzo di cuscinetti al minimo indispensabile garantendo così il montaggio di componenti altamente affidabili ed innovativi, contenendo al contempo relativamente le spese; la presenza di un numero elevato di cuscinetti è dovuta proprio a carenze strutturali ed a correzioni dei giochi e delle oscillazioni; più il numero è elevato ed è probabile che più saranno i componenti soggetti a squilibrio o a mal funzionamento da correggere, in questo caso per contenere i costi finali si useranno materiali di prezzo competitivo”.
A voi credere o meno a ciò che ho riportato, che sicuramente non leggerete mai in nessun articolo tecnico cartaceo, per ovvi e facilmente intuibili motivi, riguardante la “prova (o test) di attrezzature” con la descrizione delle caratteristiche tecniche e di funzionamento di uno specifico mulinello.

IL MULINELLO A BOBINA FISSA : introduzione

IL MULINELLO A BOBINA FISSA

Analisi e descrizione delle caratteristiche tecniche;
consigli per una idonea scelta.

Più o meno tutti, anche coloro che si avvicinano per la prima volta a questo meraviglioso hobby passionale che è la pesca sportiva, conoscono le funzioni primarie e l’utilità di un mulinello che abbinato ad una canna con anelli crea quel binomio indivisibile in diverse tecniche di pesca.
Tanto per elencarne alcune basta citare la bolognese, l’inglese, la pesca a fondo ed il ledgering, la traina, il bolentino, lo spinning, il surfcasting e tutte le tecniche specifiche che richiedono l’uso di un attrezzo che non sia solo una riserva ed un raccoglitore di filo ma che coadiuvi il pesca-sportivo nell’ottenere lanci più lunghi o nell’avere ragione di grosse prede utilizzando monofili di diametro contenuto sfruttando le caratteristiche meccaniche di cui un buon mulinello è fornito: una su tutte la frizione.
I mulinelli si distinguono tra loro per alcune caratteristiche fondamentali che ne diversificano l’uso, e che quindi ci aiutano ad orientarci verso un’oculata scelta nel loro acquisto in funzione della tecnica per cui intendiamo utilizzarli.
Per prima cosa dovremmo distinguere due tipi di mulinello, quelli a bobina fissa e quelli a bobina rotante; in questo caso farò una brevissima descrizione di questi ultimi, adatti a pesche e tecniche specifiche, mentre invece andrò a descrivere e trattare, spero in modo sufficientemente chiaro ed approfondito, il tipo a bobina fissa sicuramente il più utilizzato in tante tecniche di pesca.
Mi preme però sottolineare che: tutti i consigli, così come l’analisi delle caratteristiche tecniche, sono esclusivamente frutto della mia esperienza personale, del mio bagaglio tecnico…modesto, della mia osservazione diretta e delle informazioni reperite da chi sicuramente ne sa più di me in meccanica applicata.
Per cui qualsiasi informazione e/o giudizio, essendo frutto solo di opinioni ed esperienze personali e non di dogmi o verità assolute, può essere opinabile e non condivisibile; l’articolo in questione spero possa servire a coloro che, non avendo conoscenze dirette in materia perché “alle prime armi”, hanno dubbi sul corretto funzionamento di un mulinello e/o su come orientarsi nella scelta più consona del modello idoneo alle loro aspettative.



IL MULINELLO a BOBINA ROTANTE


Soprattutto per la traina e per il drifting il mulinello ideale è quello a tamburo (bobina) rotante ma spesso alcuni specifici modelli vengono anche utilizzati nello spinning e nel surfcasting perché, se usati a dovere, consentono effettivamente di ottenere dei lanci più lunghi rispetto agli attrezzi con bobina fissa.
E’ così denominato perché ha la caratteristica di avvolgere, e svolgere, la lenza su una apposita struttura tubolare cilindrica che, agendo sulla manovella, ruota in senso orizzontale rispetto alla posizione verticale della canna su cui è montato. Questa struttura, per effetto di una serie di congegni in metallo, ha la proprietà di girare sia in folle quando dovremmo lanciare sia opponendo una resistenza, che può essere gradualmente aumentata fino al suo blocco totale, mediante l’utilizzo della frizione o freno (in ferodo e, negli ultimi modelli, magnetico). La regolazione di tale resistenza si ottiene operando su un comando esterno a leva o a stella.
Le potenze dei mulinelli da traina sono espresse con una numerazione seguita dallo 0: 2,5/0; 4/0; 6/0; 9/0; 12/0; 14/0.

sabato 3 maggio 2008

FOTO LILLY....my dog

Grande tifosa.... "der Pupone".















giovedì 1 maggio 2008

LA PESCA ALLA SPIGOLA ALLA FOCE DEL TEVERE, parte II°

La pesca a bolognese in trattenuta estrema




Il Tevere sfocia nel mar tirreno in territorio di Fiumicino-Ostia; la sua foce naturale è Fiumara Grande che si trova a sud del paese ma una seconda foce navigabile, un canale cementato, è stato artificialmente costruito non solo per permettere un deflusso migliore, e tenere sotto controllo il livello del fiume nei periodi delle piene primaverili, ma anche per il ricovero della notevole flotta di pescherecci e per le barche da diporto, con la creazione di numerosi cantieri lungo il suo corso.
Come tutti i grandi fiumi del piano la sua portata è notevole così come la forza della corrente che, anche a seguito dell’apertura delle numerose dighe (costruite a monte lungo tutto il suo percorso) nell’arco della giornata e risentendo dell’influsso della marea, non ha mai un’intensità costante ma presenta diverse e variabili condizioni anche nell’arco di poche ore.


Questo rende ancor più difficoltosa l’impostazione di pesca in queste zone, in special modo di quella a bolognese con il galleggiante.
La sempre maggior frequenza da parte dei pesca-sportivi, e quindi la sempre maggior pressione di pesca unita anche alla proverbiale “lunaticità” del famoso serranide, ha spinto all’utilizzo di attrezzi via via sempre più lunghi sino ad arrivare ad usare robuste e costosissime canne fisse lunghe anche 12 metri montate con micro-anelli, tipo quelli utilizzati per le canne all’inglese, per non appesantire in punta la canna (già di per se pesante e poco manovrabile).
E’ chiaro che si possono utilizzare anche le normali bolognesi nella misura classica di 7-8 metri ma la mia esperienza consiglia in questo caso di allontanarsi di molto dalla fila degli utilizzatori di queste lunghissime canne e posizionarsi più a monte degli stessi.
Quando si forma una fila di 10 o più pescatori armati di queste lunghe canne (e sul molo alla foce succede molto spesso) la pasturazione che ognuno di loro fa, prendendo come punto di riferimento il galleggiante del vicino posizionato a monte, porta le spigole a pascolo sulla scia di pastura dei 12 metri che si allarga via via verso mare perciò quel pescatore che si trovasse a valle, pescando con canne nettamente più corte, si troverebbe tagliato fuori.
Le canne più corte (per “corte” intendo minimo 7 metri) vengono utilizzate soprattutto tra gli spazi di ormeggio tra due pescherecci dove è possibile utilizzare le classiche spallinate distribuite a scalare verso l’amo; il galleggiante adatto per la pesca in corrente sarà del tipo a carota o a pera rovesciata, che nella maggioranza dei casi non sarà necessario abbia una portata oltre i 2 grammi.
La corrente superficiale d’acqua dolce, infatti, viene notevolmente rallentata dalla presenza dei pescherecci ormeggiati, formando dei rigiri e delle correnti di riflusso verso monte, in special modo nel periodo della salita di marea; in questo caso la trattenuta sarà quasi classica, leggera.
Importantissimo è sondare il fondo tramite sonda a pinza di almeno 20 grammi posizionata sull’amo, in modo che lo stesso sfiori di poco il fondo; poi dovremmo, in caso di variazione di corrente o di assenza di mangiate, allargare o stringere i pallini della lenza e variare l’altezza di pesca di qualche palmo in più o in meno; questo però bisognerà sempre valutarlo al momento e sul posto.
Inutile dire che importantissima è anche la pasturazione: pochi bigattini e spesso; pasturazione che in questo caso avviene a mano all’incirca un metro a monte del galleggiante. Fondamentale è capire come la corrente trascini i bigattini e come si orienti il nostro amo con l’esca, le variazioni di flusso verso mare e di riflusso devono essere sempre correttamente valutate in modo da lanciare il bigattino sfuso sempre a monte della corrente del momento.
Gli ami sono i classici n°18-20 con un bigattino innescato per la crestina e amo scoperto (personalmente uso i robusti tubertini serie 30), con finale di monofilo morbido dello 0.10 lungo almeno 80 cm., eviterei l’uso di girelle ma opterei per il collegamento asola-asola con la lenza del mulinello che sarà di diametro 0.14.
Solo in caso di presenza certa di spigole di stazza, o di rotture, alzerei la misura del finale allo 0.12 e l’amo al n°16 innescando in questo caso due bigattini, uno a calza e l’altro per la crestina a penzoloni.
Questa, diciamo, è la pesca classica in leggera trattenuta per corrente lenta e medio-lenta sulla linea dei 7 metri tra i pescherecci.
Cambia notevolmente il discorso se ci troviamo alla fine del molo, senza i pescherecci a monte a farci da diga, in presenza di corrente media o sulla linea dei 12 metri: qui si deve per forza applicare una trattenuta bloccata, che definirei estrema.
In questo caso la montatura cambia notevolmente e si deve essere pronti ad ogni cambio di intensità del flusso.
I galleggianti saliranno di portata partendo da 3 grammi; obbligatorio sarà l’uso di torpille intercambiabile posta al di sopra di una corta (70-90cm.) spallinata a scalare verso l’amo che assicuri una certa morbidezza e leggerezza al finale per una corretta presentazione dell’esca; il finale dello 0.12 ( ma c’è chi parte anche con il 0.14) arriverà anche a 1,5-2 metri di lunghezza; anche gli ami usati salgono almeno di una misura.....l’incontro con una grossa spigola non è poi così remoto.
L’utilizzo di pesanti panchetti con reggicanna, o sedie da regista modificate per l’alloggiamento delle lunghe e pesanti canne, che non possono essere tenute in mano per più di qualche decina di minuti, saranno gli accessori indispensabili insieme ad un lungo manico di guadino di almeno 4 metri di lunghezza, visto il livello dell’acqua dalla postazione di pesca.
L’azione di pesca di per se è semplice da attuare; la differenza iniziale, rispetto alla descrizione di pesca tra i pescherecci, sta soprattutto nel sondare il fondo per il corretto posizionamento del galleggiante e questo avverrà sondando non più sull’amo ma direttamente sull’ultimo pallino, lasciando così tutto il lungo terminale libero di fluttuare in corrente e a diretto contatto con il fondo.
Una volta stabilito il fondo si appoggia la lenza ed il galleggiante in acqua con un lancio sottomano e davanti a noi, come pescassimo a fissa; lasciato un tratto di filo di circa 1,50-2 mt tra cimino e galleggiante si blocca la corsa a valle dello stesso, che si posizionerà sulla stessa linea del vettino, tenendo la canna tra le mani o poggiandola sul portacanna del panchetto.
Il problema principale, che può condizionare tutto l’esito della battuta di pesca, in questo caso è stabilire quanto piombo occorra perché la lenza sia in pesca correttamente; il galleggiante spinto dalla forza della corrente si posizionerà in maniera obliqua, con l’astina di segnalazione rivolta verso monte, sulla superficie del canale; più sarà forte la corrente più il galleggiante tenderà a coricarsi e tutta la montatura tenderà a salire.
Qui occorre prestare molta attenzione a un corretto uso delle torpille intercambiabili; in caso di aumento di corrente occorrerà variare la torpille aumentando il suo peso e superando tranquillamente la portata del galleggiante che non affonderà perché sostenuto e trattenuto dalla canna; quando l’astina del galleggiante avrà formato un ipotetico angolo di 45° con la superficie dell’acqua e quando provando ad allentare la tensione del filo spostando la punta della canna a valle l’astina si orienterà verso mare affondando......allora abbiamo trovato la giusta taratura.
La pasturazione non avverrà più quasi sotto la punta della canna ma a monte di diversi metri cercando di capire sempre dove porta la linea di corrente, tenendo d’occhio il posizionamento del galleggiante (se in linea con la punta della canna, se invece tende a spostarsi verso il centro del canale o verso di noi) ed a seconda della forza della corrente, sempre con il concetto di poco ma spesso; l’uso della fionda in questo caso è d’obbligo.
Non è una pesca completamente statica anzi dei brevi richiami, effettuati ad intervalli, del galleggiante verso monte ed un suo immediato rilascio fanno compiere all’esca ed al terminale quei movimenti verso l’alto e le conseguenti ricadute che convincono la più ritrosa spigola, sempre se in caccia, ad avventarsi sul bigattino; molto spesso le più violente abboccate avvengono sul rilascio dell’esca.
In questa tecnica, come avrete capito, l’uso corretto delle torpille intercambiabili, da 2 sino anche a 10 grammi, è fondamentale per tenere la lenza in pesca correttamente; molto spesso però dovremmo anche cambiare il galleggiante da 3 grammi, quando le torpille da usare sono troppo pesanti ( dai 5-6 gr in su), e montarne uno da 4 o da 5 grammi di portata.
In questo caso un piccolo trucco è indispensabile per non dover rifare tutta la lenza di sana pianta. Basterà utilizzare un pezzetto di quelle guaine di plastica che si trovano a corredo nelle bustine degli starlight adatti ad essere montati sul tipo di galleggiante usato.
Quando effettueremo il montaggio della lenza ad inizio pescata infileremo il filo del mulinello all’interno del tubicino di plastica e poi di seguito i tubicini al silicone che dovranno bloccare il filo sulla deriva del galleggiante......non faremo assolutamente passare il filo attraverso l’anellino del galleggiante; al di sotto dello stesso dovremmo ricordarci di mettere anche i fermi di plastica per il montaggio delle torpille, poi faremo la spallinata adatta e l’asola per l’attacco del finale. Il galleggiante rimarrà bloccato superiormente (sull’astina colorata o sullo starlight) dal pezzo di tubicino che andrà infilato sull’astina, ed inferiormente dai tubicini di silicone sulla deriva, nel modo classico....molto più difficile descriverlo che farlo.
Per smontare il galleggiante e sostituirlo è ancora più semplice: si sfilano i tubicini sulla deriva, si lascia l’astina o lo starlight fisso sul filo bloccato dalla guaina di plastica e si sostituisce solo il corpo del galleggiante senza astina (prendendo le varie grammature di una stessa serie è molto più pratico e non presenta nessun tipo di problema) ribloccandolo sulla deriva con i tubicini di silicone già presenti e reinserendo nel foro del galleggiante lo starlight bloccato sul filo, così facendo siamo sicuri anche di mantenere al contempo il fondo di pesca già misurato in precedenza; banale e semplicissimo.
L’abboccata, in molti casi delicata con affondamento lento del galleggiante, può però essere anche violenta ed essendo il filo in tiro ed a contatto diretto con la canna può causare l’immediata rottura del terminale se non si tara opportunamente la frizione molto più aperta del normale; ottimi, per essere abbinati sulle canne, sono in questo caso i full-controll della mitchell, con la leva della frizione manovrabile immediatamente con un dito per poter intervenire sulla fuga iniziale del pesce, o gli shimano con la doppia frizione della leva da combattimento, che adotta quasi lo stesso principio della leva del full-controll.
In alcuni periodi dell’anno è molto usata anche un’altra esca: il coreano; innescato con un amo per la testa, o con due ami legati in serie sul finale a pochi cm. uno dall’altro, in modo da lasciare ampia libertà di movimento in corrente all’anellide; il coreano innescato in questo modo può surrogare ed imitare una piccola cechetta ( di cui è vietata la pesca, l’utilizzo e la detenzione) esca di cui la spigola è ghiottissima, questo innesco spesso provoca l’interessamento anche di grossi esemplari, se presenti.


L’attrezzatura utilizzata rimane invariata l’unica cosa che cambia, visto anche la possibilità di grossi incontri, è oltre alla numerazione degli ami che sale sino al n° 10-8 per un corretto innesco del coreano anche l’utilizzo leggermente superiore dei diametri di monofilo, sia sul mulinello che sul finale.

LA PESCA ALLA SPIGOLA ALLA FOCE DEL TEVERE, parte I°

L’evoluzione della pesca in foce






La foce è sempre stata ritenuta, ed a ragione, una zona altamente produttiva ed interessante per l’attività della pesca-sportiva. L’incontro tra le due acque, quella dolce e quella salina, è sempre stato un punto frequentatissimo da molte specie ittiche, vuoi per la quantità di sostanze organiche trasportate dalle acque fluviali, vuoi anche perché utilizzata dai pesci come via di fuga e zona di riparo dalle mareggiate oltre ad un ambiente adatto per la riproduzione.
Alcune specie di pesci eurialini come i muggini e le anguille, dalla comprovata adattabilità e resistenza alle variazioni di salinità, vivono indifferentemente sia in acque dolci che in quelle salse o salmastre, mentre è quasi impossibile poter trovare nei pressi dello sbocco a mare pesci stenoalini caratteristici delle acque dolci ad eccezione di qualche sporadico e resistentissimo ciprinide come il carassio.
Alcuni pesci prettamente marini invece risalgono per qualche chilometro il corso d’acqua, tra questi è facile trovare quella che io ritengo la regina della foce: “la spigola” anche se, nel tratto terminale del fiume o del canale, non è difficile nemmeno imbattersi, nei pressi del fondale dove scorre l’acqua del mare, in quasi tutte le specie di sparidi, nelle mormore, nelle triglie di fango ed in tutti quei predatori attratti dalla presenza di tanto pesce-foraggio.
Questa zona magica, caratterizzata da questo interscambio d’acque e di pesci, un tempo poteva considerarsi come la vera “zona di confine” tra due diversissime tipologie di pescatori: il pescatore in acque interne e quello in mare.
Le tecniche, le attrezzature, le esche....così come le prede del resto, erano notevolmente differenti tra questi due tipi di pesca-sportivi; solo negli ultimi decenni si è potuto assistere ad un lento ma costante cambiamento dove tecniche e metodologie in uso nelle acque dolci hanno progressivamente “contaminato” (nel senso buono del termine) anche il mare con risultati ottimi da un punto di vista numerico di catture...ma forse un po’ a scapito della selezione nella taglia dei pesci.
Tecniche che prevedono l’utilizzo di attrezzi come la bolognese, le match-rod e le canne da ledgering, nate per la pesca nei laghi e fiumi della nostra penisola o importate dalle isole britanniche, ormai fanno parte anche del bagaglio tecnico e culturale dell’appassionato nella pesca in mare.
Ma vi siete mai chiesti come sia potuto accadere tutto questo??
Sapete cosa ha provocato questo cambiamento, a chi o a cosa imputare questa inconvertibile “contaminazione”??
Il merito di tutto ciò, o la colpa a seconda di come la si vuol vedere, và ad un piccolo e fastidiosissimo insetto: la mosca carnaria, o più propriamente alla larva della stessa che viene conosciuta e denominata “bigattino”.
Il suo uso come esca, molto positivo in acqua dolce, e la sua produzione sempre più diffusa ed industriale con vendita a basso costo, ha portato gli appassionati di pesca a farne un utilizzo sempre più massiccio anche in mare; oltre al basso costo ed alla ormai facile reperibilità, questa piccolissima esca ha un’altra prerogativa, quasi unica nel campo delle esche vive, e cioè quella di poter essere al tempo stesso utilizzata come esca e pastura.
Le ridotte dimensioni, il ritmico movimento e le sue vibrazioni in acqua così come il colore, facilmente individuabile anche in acque torbide, sono tra le componenti basilari per il successo di tale esca. Anche i pesci di mare sembra abbiano imparato ad apprezzare il valore nutrizionale di questa larva, a torto ed ignorantemente considerata per anni, anche dai cosiddetti “esperti” di biologia marina, dannosa per l’apparato gastrointestinale della fauna ittica.
Dopo questa doverosa introduzione, tralasciando ad un altro momento le innumerevoli possibilità e attrezzature che possono essere utilizzate nei pressi della foce, andrò brevemente ma spero anche dettagliatamente a trattare l’utilizzo di una di queste tecniche, rivolte alla cattura della spigola, in uso nelle due foci del Tevere:
la pesca a bolognese in trattenuta estrema.