giovedì 1 maggio 2008

LA PESCA ALLA SPIGOLA ALLA FOCE DEL TEVERE, parte II°

La pesca a bolognese in trattenuta estrema




Il Tevere sfocia nel mar tirreno in territorio di Fiumicino-Ostia; la sua foce naturale è Fiumara Grande che si trova a sud del paese ma una seconda foce navigabile, un canale cementato, è stato artificialmente costruito non solo per permettere un deflusso migliore, e tenere sotto controllo il livello del fiume nei periodi delle piene primaverili, ma anche per il ricovero della notevole flotta di pescherecci e per le barche da diporto, con la creazione di numerosi cantieri lungo il suo corso.
Come tutti i grandi fiumi del piano la sua portata è notevole così come la forza della corrente che, anche a seguito dell’apertura delle numerose dighe (costruite a monte lungo tutto il suo percorso) nell’arco della giornata e risentendo dell’influsso della marea, non ha mai un’intensità costante ma presenta diverse e variabili condizioni anche nell’arco di poche ore.


Questo rende ancor più difficoltosa l’impostazione di pesca in queste zone, in special modo di quella a bolognese con il galleggiante.
La sempre maggior frequenza da parte dei pesca-sportivi, e quindi la sempre maggior pressione di pesca unita anche alla proverbiale “lunaticità” del famoso serranide, ha spinto all’utilizzo di attrezzi via via sempre più lunghi sino ad arrivare ad usare robuste e costosissime canne fisse lunghe anche 12 metri montate con micro-anelli, tipo quelli utilizzati per le canne all’inglese, per non appesantire in punta la canna (già di per se pesante e poco manovrabile).
E’ chiaro che si possono utilizzare anche le normali bolognesi nella misura classica di 7-8 metri ma la mia esperienza consiglia in questo caso di allontanarsi di molto dalla fila degli utilizzatori di queste lunghissime canne e posizionarsi più a monte degli stessi.
Quando si forma una fila di 10 o più pescatori armati di queste lunghe canne (e sul molo alla foce succede molto spesso) la pasturazione che ognuno di loro fa, prendendo come punto di riferimento il galleggiante del vicino posizionato a monte, porta le spigole a pascolo sulla scia di pastura dei 12 metri che si allarga via via verso mare perciò quel pescatore che si trovasse a valle, pescando con canne nettamente più corte, si troverebbe tagliato fuori.
Le canne più corte (per “corte” intendo minimo 7 metri) vengono utilizzate soprattutto tra gli spazi di ormeggio tra due pescherecci dove è possibile utilizzare le classiche spallinate distribuite a scalare verso l’amo; il galleggiante adatto per la pesca in corrente sarà del tipo a carota o a pera rovesciata, che nella maggioranza dei casi non sarà necessario abbia una portata oltre i 2 grammi.
La corrente superficiale d’acqua dolce, infatti, viene notevolmente rallentata dalla presenza dei pescherecci ormeggiati, formando dei rigiri e delle correnti di riflusso verso monte, in special modo nel periodo della salita di marea; in questo caso la trattenuta sarà quasi classica, leggera.
Importantissimo è sondare il fondo tramite sonda a pinza di almeno 20 grammi posizionata sull’amo, in modo che lo stesso sfiori di poco il fondo; poi dovremmo, in caso di variazione di corrente o di assenza di mangiate, allargare o stringere i pallini della lenza e variare l’altezza di pesca di qualche palmo in più o in meno; questo però bisognerà sempre valutarlo al momento e sul posto.
Inutile dire che importantissima è anche la pasturazione: pochi bigattini e spesso; pasturazione che in questo caso avviene a mano all’incirca un metro a monte del galleggiante. Fondamentale è capire come la corrente trascini i bigattini e come si orienti il nostro amo con l’esca, le variazioni di flusso verso mare e di riflusso devono essere sempre correttamente valutate in modo da lanciare il bigattino sfuso sempre a monte della corrente del momento.
Gli ami sono i classici n°18-20 con un bigattino innescato per la crestina e amo scoperto (personalmente uso i robusti tubertini serie 30), con finale di monofilo morbido dello 0.10 lungo almeno 80 cm., eviterei l’uso di girelle ma opterei per il collegamento asola-asola con la lenza del mulinello che sarà di diametro 0.14.
Solo in caso di presenza certa di spigole di stazza, o di rotture, alzerei la misura del finale allo 0.12 e l’amo al n°16 innescando in questo caso due bigattini, uno a calza e l’altro per la crestina a penzoloni.
Questa, diciamo, è la pesca classica in leggera trattenuta per corrente lenta e medio-lenta sulla linea dei 7 metri tra i pescherecci.
Cambia notevolmente il discorso se ci troviamo alla fine del molo, senza i pescherecci a monte a farci da diga, in presenza di corrente media o sulla linea dei 12 metri: qui si deve per forza applicare una trattenuta bloccata, che definirei estrema.
In questo caso la montatura cambia notevolmente e si deve essere pronti ad ogni cambio di intensità del flusso.
I galleggianti saliranno di portata partendo da 3 grammi; obbligatorio sarà l’uso di torpille intercambiabile posta al di sopra di una corta (70-90cm.) spallinata a scalare verso l’amo che assicuri una certa morbidezza e leggerezza al finale per una corretta presentazione dell’esca; il finale dello 0.12 ( ma c’è chi parte anche con il 0.14) arriverà anche a 1,5-2 metri di lunghezza; anche gli ami usati salgono almeno di una misura.....l’incontro con una grossa spigola non è poi così remoto.
L’utilizzo di pesanti panchetti con reggicanna, o sedie da regista modificate per l’alloggiamento delle lunghe e pesanti canne, che non possono essere tenute in mano per più di qualche decina di minuti, saranno gli accessori indispensabili insieme ad un lungo manico di guadino di almeno 4 metri di lunghezza, visto il livello dell’acqua dalla postazione di pesca.
L’azione di pesca di per se è semplice da attuare; la differenza iniziale, rispetto alla descrizione di pesca tra i pescherecci, sta soprattutto nel sondare il fondo per il corretto posizionamento del galleggiante e questo avverrà sondando non più sull’amo ma direttamente sull’ultimo pallino, lasciando così tutto il lungo terminale libero di fluttuare in corrente e a diretto contatto con il fondo.
Una volta stabilito il fondo si appoggia la lenza ed il galleggiante in acqua con un lancio sottomano e davanti a noi, come pescassimo a fissa; lasciato un tratto di filo di circa 1,50-2 mt tra cimino e galleggiante si blocca la corsa a valle dello stesso, che si posizionerà sulla stessa linea del vettino, tenendo la canna tra le mani o poggiandola sul portacanna del panchetto.
Il problema principale, che può condizionare tutto l’esito della battuta di pesca, in questo caso è stabilire quanto piombo occorra perché la lenza sia in pesca correttamente; il galleggiante spinto dalla forza della corrente si posizionerà in maniera obliqua, con l’astina di segnalazione rivolta verso monte, sulla superficie del canale; più sarà forte la corrente più il galleggiante tenderà a coricarsi e tutta la montatura tenderà a salire.
Qui occorre prestare molta attenzione a un corretto uso delle torpille intercambiabili; in caso di aumento di corrente occorrerà variare la torpille aumentando il suo peso e superando tranquillamente la portata del galleggiante che non affonderà perché sostenuto e trattenuto dalla canna; quando l’astina del galleggiante avrà formato un ipotetico angolo di 45° con la superficie dell’acqua e quando provando ad allentare la tensione del filo spostando la punta della canna a valle l’astina si orienterà verso mare affondando......allora abbiamo trovato la giusta taratura.
La pasturazione non avverrà più quasi sotto la punta della canna ma a monte di diversi metri cercando di capire sempre dove porta la linea di corrente, tenendo d’occhio il posizionamento del galleggiante (se in linea con la punta della canna, se invece tende a spostarsi verso il centro del canale o verso di noi) ed a seconda della forza della corrente, sempre con il concetto di poco ma spesso; l’uso della fionda in questo caso è d’obbligo.
Non è una pesca completamente statica anzi dei brevi richiami, effettuati ad intervalli, del galleggiante verso monte ed un suo immediato rilascio fanno compiere all’esca ed al terminale quei movimenti verso l’alto e le conseguenti ricadute che convincono la più ritrosa spigola, sempre se in caccia, ad avventarsi sul bigattino; molto spesso le più violente abboccate avvengono sul rilascio dell’esca.
In questa tecnica, come avrete capito, l’uso corretto delle torpille intercambiabili, da 2 sino anche a 10 grammi, è fondamentale per tenere la lenza in pesca correttamente; molto spesso però dovremmo anche cambiare il galleggiante da 3 grammi, quando le torpille da usare sono troppo pesanti ( dai 5-6 gr in su), e montarne uno da 4 o da 5 grammi di portata.
In questo caso un piccolo trucco è indispensabile per non dover rifare tutta la lenza di sana pianta. Basterà utilizzare un pezzetto di quelle guaine di plastica che si trovano a corredo nelle bustine degli starlight adatti ad essere montati sul tipo di galleggiante usato.
Quando effettueremo il montaggio della lenza ad inizio pescata infileremo il filo del mulinello all’interno del tubicino di plastica e poi di seguito i tubicini al silicone che dovranno bloccare il filo sulla deriva del galleggiante......non faremo assolutamente passare il filo attraverso l’anellino del galleggiante; al di sotto dello stesso dovremmo ricordarci di mettere anche i fermi di plastica per il montaggio delle torpille, poi faremo la spallinata adatta e l’asola per l’attacco del finale. Il galleggiante rimarrà bloccato superiormente (sull’astina colorata o sullo starlight) dal pezzo di tubicino che andrà infilato sull’astina, ed inferiormente dai tubicini di silicone sulla deriva, nel modo classico....molto più difficile descriverlo che farlo.
Per smontare il galleggiante e sostituirlo è ancora più semplice: si sfilano i tubicini sulla deriva, si lascia l’astina o lo starlight fisso sul filo bloccato dalla guaina di plastica e si sostituisce solo il corpo del galleggiante senza astina (prendendo le varie grammature di una stessa serie è molto più pratico e non presenta nessun tipo di problema) ribloccandolo sulla deriva con i tubicini di silicone già presenti e reinserendo nel foro del galleggiante lo starlight bloccato sul filo, così facendo siamo sicuri anche di mantenere al contempo il fondo di pesca già misurato in precedenza; banale e semplicissimo.
L’abboccata, in molti casi delicata con affondamento lento del galleggiante, può però essere anche violenta ed essendo il filo in tiro ed a contatto diretto con la canna può causare l’immediata rottura del terminale se non si tara opportunamente la frizione molto più aperta del normale; ottimi, per essere abbinati sulle canne, sono in questo caso i full-controll della mitchell, con la leva della frizione manovrabile immediatamente con un dito per poter intervenire sulla fuga iniziale del pesce, o gli shimano con la doppia frizione della leva da combattimento, che adotta quasi lo stesso principio della leva del full-controll.
In alcuni periodi dell’anno è molto usata anche un’altra esca: il coreano; innescato con un amo per la testa, o con due ami legati in serie sul finale a pochi cm. uno dall’altro, in modo da lasciare ampia libertà di movimento in corrente all’anellide; il coreano innescato in questo modo può surrogare ed imitare una piccola cechetta ( di cui è vietata la pesca, l’utilizzo e la detenzione) esca di cui la spigola è ghiottissima, questo innesco spesso provoca l’interessamento anche di grossi esemplari, se presenti.


L’attrezzatura utilizzata rimane invariata l’unica cosa che cambia, visto anche la possibilità di grossi incontri, è oltre alla numerazione degli ami che sale sino al n° 10-8 per un corretto innesco del coreano anche l’utilizzo leggermente superiore dei diametri di monofilo, sia sul mulinello che sul finale.

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