giovedì 1 maggio 2008

LA PESCA ALLA SPIGOLA ALLA FOCE DEL TEVERE, parte I°

L’evoluzione della pesca in foce






La foce è sempre stata ritenuta, ed a ragione, una zona altamente produttiva ed interessante per l’attività della pesca-sportiva. L’incontro tra le due acque, quella dolce e quella salina, è sempre stato un punto frequentatissimo da molte specie ittiche, vuoi per la quantità di sostanze organiche trasportate dalle acque fluviali, vuoi anche perché utilizzata dai pesci come via di fuga e zona di riparo dalle mareggiate oltre ad un ambiente adatto per la riproduzione.
Alcune specie di pesci eurialini come i muggini e le anguille, dalla comprovata adattabilità e resistenza alle variazioni di salinità, vivono indifferentemente sia in acque dolci che in quelle salse o salmastre, mentre è quasi impossibile poter trovare nei pressi dello sbocco a mare pesci stenoalini caratteristici delle acque dolci ad eccezione di qualche sporadico e resistentissimo ciprinide come il carassio.
Alcuni pesci prettamente marini invece risalgono per qualche chilometro il corso d’acqua, tra questi è facile trovare quella che io ritengo la regina della foce: “la spigola” anche se, nel tratto terminale del fiume o del canale, non è difficile nemmeno imbattersi, nei pressi del fondale dove scorre l’acqua del mare, in quasi tutte le specie di sparidi, nelle mormore, nelle triglie di fango ed in tutti quei predatori attratti dalla presenza di tanto pesce-foraggio.
Questa zona magica, caratterizzata da questo interscambio d’acque e di pesci, un tempo poteva considerarsi come la vera “zona di confine” tra due diversissime tipologie di pescatori: il pescatore in acque interne e quello in mare.
Le tecniche, le attrezzature, le esche....così come le prede del resto, erano notevolmente differenti tra questi due tipi di pesca-sportivi; solo negli ultimi decenni si è potuto assistere ad un lento ma costante cambiamento dove tecniche e metodologie in uso nelle acque dolci hanno progressivamente “contaminato” (nel senso buono del termine) anche il mare con risultati ottimi da un punto di vista numerico di catture...ma forse un po’ a scapito della selezione nella taglia dei pesci.
Tecniche che prevedono l’utilizzo di attrezzi come la bolognese, le match-rod e le canne da ledgering, nate per la pesca nei laghi e fiumi della nostra penisola o importate dalle isole britanniche, ormai fanno parte anche del bagaglio tecnico e culturale dell’appassionato nella pesca in mare.
Ma vi siete mai chiesti come sia potuto accadere tutto questo??
Sapete cosa ha provocato questo cambiamento, a chi o a cosa imputare questa inconvertibile “contaminazione”??
Il merito di tutto ciò, o la colpa a seconda di come la si vuol vedere, và ad un piccolo e fastidiosissimo insetto: la mosca carnaria, o più propriamente alla larva della stessa che viene conosciuta e denominata “bigattino”.
Il suo uso come esca, molto positivo in acqua dolce, e la sua produzione sempre più diffusa ed industriale con vendita a basso costo, ha portato gli appassionati di pesca a farne un utilizzo sempre più massiccio anche in mare; oltre al basso costo ed alla ormai facile reperibilità, questa piccolissima esca ha un’altra prerogativa, quasi unica nel campo delle esche vive, e cioè quella di poter essere al tempo stesso utilizzata come esca e pastura.
Le ridotte dimensioni, il ritmico movimento e le sue vibrazioni in acqua così come il colore, facilmente individuabile anche in acque torbide, sono tra le componenti basilari per il successo di tale esca. Anche i pesci di mare sembra abbiano imparato ad apprezzare il valore nutrizionale di questa larva, a torto ed ignorantemente considerata per anni, anche dai cosiddetti “esperti” di biologia marina, dannosa per l’apparato gastrointestinale della fauna ittica.
Dopo questa doverosa introduzione, tralasciando ad un altro momento le innumerevoli possibilità e attrezzature che possono essere utilizzate nei pressi della foce, andrò brevemente ma spero anche dettagliatamente a trattare l’utilizzo di una di queste tecniche, rivolte alla cattura della spigola, in uso nelle due foci del Tevere:
la pesca a bolognese in trattenuta estrema.

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