martedì 3 giugno 2008

IL LAGHETTO DI ANTONEDDU E "ZIRIPICCA" - II° parte

Parcheggio nel luogo che mi è stato indicato, indosso il gilet, prendo la canna con il mulinello e mi avvio verso il sentiero che mi era stato pazientemente e più volte descritto.
Ormai è giorno fatto, sono le 06.00 ed è già da 10 minuti buoni che cammino tra i boschi quando il sentiero comincia a scendere e inizio a scorgere tra gli alberi i primi bagliori del riverbero della luce sull’acqua; qualche decina di metri ed il laghetto mi appare in tutto il suo splendore.
Circondato da querce per un buon ¾ della sua circonferenza, il resto è invece occupato da una parete di roccia a strapiombo sormontata da un fitto boschetto di piccoli abeti; sotto alla parete di roccia si estende una piccola lingua di massi che collega la parete stessa con una enorme roccia che emerge da quelle acque di uno stupendo colore verde smeraldo, e che è a sua volta circondata da un fitto canneto e da un tappeto di alghe che emergono sulla superficie del lago.
Dalla mia posizione leggermente rialzata posso studiarne tutto il perimetro e subito mi balza all’occhio la certezza che quel punto è sicuramente irraggiungibile da riva se non in belly-boat, ed è un vero peccato perché le mie sensazioni di pescatore-predatore erano più che positive.
Scartato a malavoglia quel tratto osservo meglio il resto e purtroppo capisco che anche in buona parte della sponda opposta è quasi impossibile pescare perché sotto le querce si trovano immense macchie di rovi delle more, un muro di spine che occupa la riva sino ad entrare nell’acqua e non si notano a prima vista tracce di sentieri per attraversarle e del resto, anche ci fossero, come farei io a saperlo?
Solo il tratto che si trova alla fine del sentiero in cui mi trovo è parzialmente sgombro da rovi; un paio di grosse querce sono cadute in acqua, si scorgono a malapena alcuni loro rami sotto la superficie. I tronchi rimasti sulla riva però presentano un taglio netto e da questo capisco che sono stati volutamente tagliati; anche i rovi sono stati tagliati per una cinquantina di metri, rami e spine ormai secchi si trovano ammucchiati ai margini di un folto canneto sulla destra lasciando il loro posto ad un sottile tappeto di erbetta verde, a qualche masso ed a diversi ceppi di quercia.
In definitiva non mi posso lamentare, ho un discreto spazio per provare a pescare.
Dopo aver memorizzato la posizione delle piante cadute sul fondo del laghetto effettuo il primo lancio con un minnow galleggiante, lancio che dà immediatamente i suoi frutti: un black bass di 25 cm. afferra l’imitazione in balsa qualche attimo dopo la sua caduta in acqua; di abboccate del genere nella prima mezz’ora ne avrò diverse ma tutti i persici trota, catturati ed immediatamente rilasciati, saranno come taglia simili al primo.
Incomincia a prender forma nei miei pensieri ciò che temevo, e che spesso accade in alcuni bacini artificiali in Sardegna, l’abbondanza di esemplari della stessa specie e la scarsità di cibo a disposizione non ne favorisce l’accrescimento tanto da dar luogo a veri e propri fenomeni di nanismo.
Però le mie sensazioni dicono anche che questo potrebbe essere un posto speciale, magico oserei dire data la sua bellezza, ed allora incomincio con la giostra degli artificiali: un paio di lanci, una cattura di un persico di 300 gr. e cambio di artificiale.
Minnow countdown di diversi centimetri e di diverse colorazioni si alternavano a minnow galleggianti ed a lunghi e sinuosi vermoni siliconici innescati su grossi ami del 2/0 ma i risultati, a parte un black bass di circa 600 grammi, non cambiavano.
Ero ormai ai margini del canneto, un po’ sfiduciato quando un suono caratteristico, e da me già conosciuto, fece sparire del tutto quelle poche speranze a cui restavo ancorato.
Per alcuni potrebbe apparire solo come un dolce scampanellio accompagnato da leggeri belati, per un pescatore su un lago piccolo come questo, e con una sola parte di sponda accessibile ricoperta da un bel praticello di erba fresca, quei suoni segnavano la fine della pescata.
Il gregge di pecore scendeva lungo lo stesso sentiero da me percorso ed in pochi minuti sarebbe giunto sino al lago per occupare tutta la sponda, abbeverarsi e brucare l’erbetta della riva; ora finalmente capivo chi e perché aveva tagliato gli alberi ed i rovi.
Conoscendo gli usi della zona la mia prima preoccupazione fù quella di vedere se il gregge fosse accompagnato da un pastore perché molto spesso ciò non accadeva e ad accompagnare il gregge invece erano solo dei grossi cani maremmani ai quali la presenza di uno sconosciuto, in un posto in cui magari erano abituati a non incontrarne mai, poteva portare a comportamenti più che offensivi.
Finalmente dopo una cinquantina di pecore, e nessun avvistamento di cani, intravedo una minuta ed esile figura umana poco più di un bambino, allora mi tranquillizzo e mi incammino per gli ultimi lanci verso la zona con le querce in acqua.

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