lunedì 9 giugno 2008

LA MALATTIA DELLA PESCA - parte I°

Mi son sempre chiesto come sia potuto accadere a me e perché.
Di solito si pensa che debbano per forza esistere delle concause, delle spinte che ci portano a seguire l’esempio del proprio genitore, di un parente o di qualche amico; anche solo il fatto di vivere in un ambiente nel quale si può essere quotidianamente a contatto con una determinata attività può portare alcuni ad innamorarsene; molti saggiamente ritengono che i germogli delle passioni siano già presenti nel DNA sin dal momento del nostro concepimento.
Questa spiegazione, di un’eredità genetica passionale, costituirebbe una valida risposta alle mie domande se si prendesse come riferimento quell’atavica attività che impegnava i primi gruppi di homo sapiens nel paleolitico, cacciatori e pescatori per sopravvivenza; se invece con questo si intende, come genericamente molti ritengono, che solamente da un padre o da un nonno amante della pesca sia possibile ereditare la stessa passione, allora anche questo tipo di spiegazione non può adattarsi al mio caso.
I miei nonni erano contadini e con una vagonata di figli da accudire quindi tempo per hobby non ne avevano molto a disposizione. Finita la seconda guerra mio padre, ottavo di nove figli, scelse all’età di 17 anni (..se poi vera scelta si può definire) di arruolarsi in marina e passare gran parte della sua giovinezza imbarcato su un cacciatorpediniere.
La passione della caccia, che condivideva con qualche fratello, finì forzatamente per affievolirsi nel tempo sino a scomparire quando, per questioni legate al suo lavoro, dovette trasferirsi a Roma insieme a me, che all’epoca avevo quattro anni, e mia madre; se anche fosse rimasta in lui qualche traccia di quella giovanile passione il fatto di non aver mai preso la patente, e quindi mai posseduto un mezzo autonomo di locomozione, la cancellò del tutto
Di attività alieutiche e di pesca non v’è segno in nessuno dei miei antenati per almeno tre generazioni, per cui mi chiedo come sia stato possibile che in un bambino di pochi anni, abituato alla vita di una piccola provincia e traumatizzato dall’impatto con una grande metropoli come Roma e senza più quella moltitudine di nonni, zii e cugini intorno, potesse nascere una passione come la pesca…
Eppure è successo, inspiegabilmente ma anche inevitabilmente direi perchè non mi sarebbe possibile concepire la mia vita passata e quella futura senza la pesca.
Ricordo chiaramente ancor oggi due episodi che mi sono accaduti quando ero piccolo e che mi hanno fatto capire l’importanza che avrebbero avuto per me l’interesse per la fauna ittica e, soprattutto, la passione per la pesca sportiva.
Seconda elementare, siamo a metà degli anni sessanta ed all’epoca fuori dalle scuole si distribuivano quasi giornalmente, come forma pubblicitaria dell’epoca, gli album per la raccolta delle figurine con in omaggio un paio di pacchetti delle stesse. L’album dei calciatori della Panini era quello più reclamizzato ed anche quello più richiesto da tutti i maschietti; a me non interessava più di tanto, lo prendevo solo per poi regalare quei due pacchetti ai compagni di classe che mi erano più simpatici. Un giorno la solita persona addetta alla distribuzione degli album omaggio venne letteralmente presa d’assalto dai miei coetanei e compagni di scuola, quando giunse il mio turno era rimasto solo un tipo di album, credo si chiamasse “il mondo sommerso”, o qualcosa del genere; era una raccolta di figurine di tutte le forme di vita, marine e d’acqua dolce…………...… bé, dopo qualche mese lo avevo finito di completare e fù anche l’unico album che completai.
Il secondo episodio avvenne un paio d’estati dopo; ritornati per un breve periodo di vacanza nella mia città natale fummo invitati una domenica da un collega di mio padre nella sua casa al mare; per farmi divertire e giocare un po’ in compagnia di suo figlio mi portò in cantina alla ricerca di un pallone.
Trovai il pallone su un secchio di plastica, lo sollevai e i miei occhi si posarono sul contenuto del secchio: c’erano due grosse tavolette di sughero su cui era avvolto del filo di nylon, un piombo e due ami, più una serie di piombi di riserva ed una intera scatoletta d’ami della lion d’or.
Ricordo che capii a cosa servissero immediatamente, ma chiesi ugualmente cosa fossero; lui mi spiegò che erano lenze per la pesca a bolentino, le aveva acquistate tempo prima ed usate solo un paio di volte e poi abbandonate in cantina perché andare a pescare non gli piaceva molto.
Continuai con una serie di domande ed alla fine giunsi allo scopo che segretamente dentro di me speravo dal momento stesso in cui avevo sollevato quella palla: uscì da quella cantina con in mano il secchio e tutto il suo contenuto.
Le mie giornate al mare quella estate furono magnificamente diverse dal solito, mentre gli altri bambini della mia età scavavano buche e facevano castelli di sabbia io ero impegnato con un piccolo retino nel cercare di catturare, tra gli scogli, gamberetti e piccoli paguri da “impalare” su quegli ami.
Quando gli altri erano tutti a farsi il bagno nelle loro ciambelle io, poco più in là e con l’acqua sino alla vita, cercavo di pescare con quella grossa lenza avvolta sul sughero.
Al ritorno a Roma i sintomi di questa “malattia” non diminuirono anzi; mi rivolsi all’edicolante di zona per sapere se esisteva qualche rivista che parlasse di pesca… ed una c’era; era un quindicinale con un impaginazione diversa dalle attuali riviste, simile a quella dei quotidiani, con qualche foto in bianco e nero, report ed informazioni sulle tecniche di pesca; mi pare si chiamasse il giornale dei pescatori. Per parecchi anni non persi mai una sola uscita.
La mia prima licenza di pesca la ottenni compiuti i 14 anni, prima non era contemplato dalle disposizioni legislative, si poteva andare senza licenza solo se accompagnati da un adulto che ne possedeva una… e mio padre non ne aveva.
Il periodo precedente non fù però un periodo senza pesca; seppi che a pochi chilometri da casa, e raggiungibile in autobus, esisteva un laghetto a pagamento con le trote iridee. Costrinsi (..costringere è proprio il termine giusto) mio padre per le prime volte ad accompagnarmi in quel lago. Prendevo in prestito dal gestore delle cannacce in bambù lunghe 3-4 metri montate con una lenza da far rabbrividire, la classica scatolina di vermi e, mentre mio padre leggeva il giornale, io passavo le quattro ore del turno di pesca non solo cercando di catturare qualche trota ma osservando, con più attenzione possibile, gli altri pescatori e le loro attrezzature.
Poi venne il giorno dei miei 14 anni…. indimenticabile… perchè quel giorno, come ho già accennato, ottenni i due regali più belli di tutti quelli avuti nei 47 compleanni che ho festeggiato sino ad ora.
La mia prima vera canna col mulinello e la licenza di pesca.

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