A barbi sotto lo stadio
Per i Romani lo stadio Olimpico, ed il Foro Italico che si trova a due passi, rappresentano i simboli della sportività cittadina; come anche icone della città sono i due ponti sul Tevere, che si trovano nelle loro immediate vicinanze e che permettono di raggiungerli.
Il ponte Duca D’Aosta è notoriamente la porta d’accesso, a piedi o in macchina, per raggiungere la zona di parcheggio dello stadio da tutti coloro che si trovassero dall’altra parte del Tevere.
Ponte Milvio, o “ponte mollo” per i romani, è invece solo pedonale; da sempre molto amato dalla gente di Roma ed ultimamente salito agli onori della cronaca nazionale ed internazionale per la simpatica ed alquanto bizzarra usanza di agganciare, sui bellissimi lampioni dei suoi parapetti, dei lucchetti in cui sono impresse le iniziali di ogni coppia di innamorati.
Per i Romani lo stadio Olimpico, ed il Foro Italico che si trova a due passi, rappresentano i simboli della sportività cittadina; come anche icone della città sono i due ponti sul Tevere, che si trovano nelle loro immediate vicinanze e che permettono di raggiungerli.
Il ponte Duca D’Aosta è notoriamente la porta d’accesso, a piedi o in macchina, per raggiungere la zona di parcheggio dello stadio da tutti coloro che si trovassero dall’altra parte del Tevere.
Ponte Milvio, o “ponte mollo” per i romani, è invece solo pedonale; da sempre molto amato dalla gente di Roma ed ultimamente salito agli onori della cronaca nazionale ed internazionale per la simpatica ed alquanto bizzarra usanza di agganciare, sui bellissimi lampioni dei suoi parapetti, dei lucchetti in cui sono impresse le iniziali di ogni coppia di innamorati.
Ponte Milvio
Ponte Duca D’Aosta
Il simbolo della loro unione e del loro amore rimarrà per sempre fissato su quel lampione di uno dei più storici e stupendi ponti della città eterna; per suggellare per sempre questo amore la “cerimonia” della coppia di innamorati termina con il lancio, nelle sottostanti acque del fiume, della chiave.
Anch’io saltuariamente mi reco sul posto ma il mio amore verso il Tevere( e tutto quello che simboleggia per il popolo di Roma con la sua storia e le sue ricchezze nascoste) lo manifesto in modo molto diverso………..lanciando nelle sue acque non una chiave ma un pasturatore ed una lenza.
Il Tevere, per ogni pescatore nato e cresciuto sulle sue sponde, rappresenta il Fiume….l’unico fiume, una passione ed un amore che và anche al di là della pesca-sportiva.
Ogni sua sponda, ogni ponte che lo attraversa parla di storia; ed ogni tanto anch’io mi fermo ad osservare le sue acque, ora placide ora impetuose, e provo ad immaginare cosa poteva solcarle e la vita che lo circondava più di 2000 anni fa.
Il tratto di cui parlerò per questo itinerario è proprio quello racchiuso tra i due ponti già citati.
Subito a valle di ponte Milvio il fiume acquista velocità e ossigenazione perché il fondo si alza notevolmente e diventa roccioso per la presenza di grossi massi sul fondo; quando il fiume è in periodo di secca i massi affiorano del tutto ed è difficile superare questa barriera anche con una canoa.
A circa metà distanza tra i due ponti il fiume, sempre impetuoso al centro della sua vena principale di corrente, verso sponda rallenta la sua corsa ed il fondo ritorna pescabile per chi voglia utilizzare la tecnica del ledgering, o meglio del feeder-fishing (pesca con il pasturatore), impossibile da praticare più a monte a meno che non si voglia lasciare attaccato sul fondo un pasturatore ad ogni lancio.
Le canne usate per pescare in questo luogo dovranno necessariamente essere robuste con una adeguata riserva di potenza perché i pesci che andremo ad insidiare principalmente sono i grossi e potenti barbi europei (barbus barbus), che hanno ultimamente spodestato gli autoctoni barbi canini e i locali barbi tiberini (i capoccioni), che qui raggiungono anche i 4 chilogrammi.
Un barbo del genere, allamato in corrente e con la possibilità di portare il finale verso i grossi massi del fondo, è un cliente molto difficile da affrontare; la sua potenza e la sua massa vengono raddoppiati dalla forza della corrente, dove trascina la lenza appena allamato.
La canna che io adopero per affrontarli in queste situazioni è la daiwa italy ledger in tre pezzi e dalla lunghezza di 420 cm.; questa canna, un po’ atipica rispetto alle canne da feeder di concezione britannica, è stata progettata dal famosissimo Mario Molinari, che l’ha definita la “canna da fiume”, adatta per affrontare questo tipo di situazioni che non sono rare nei grandi fiumi italiani del piano. Certamente differente è la conformazione geo-idrologica dei fiumi della nostra penisola rispetto alle isole britanniche e solo con la passione e la ricerca di Campioni ed appassionati del ledgering come il nostro Mario ora possiamo pescare con attrezzi idonei alla morfologia dei nostri corsi d’acqua.
La daiwa italy ledger, come ho accennato prima, è lunga 4.20 mt (14 piedi), in tre pezzi con innesti a baionetta, due quiver (in carbonio) in dotazione, impugnatura in buon sughero ed anellata all'inglese, a ponte doppio e alto, con 15 anelli compreso l'apicale. Non ha hook retainer (anellino sul manico per attacco dell’amo) ed è costruita con TRC (Titanium Reinforced Carbon), la potenza di casting di questa canna viene data tra i 30 e i 120 grammi.
Il mulinello che abbino è uno stimano EXAGE 4000 RA provvisto di una doppia frizione; oltre alla classica posteriore, che andrà regolata al minimo rispetto alla tenuta del monofilo imbobinato, è corredato anche del sistema fightin' drag, ovvero di una leva da combattimento che permette di reagire in modo immediato alle sfuriate improvvise della nostra preda; viene venduto con due bobine in alluminio che, per bilanciare le caratteristiche della canna e dell’uso per cui è stata costruita, io imbobino con monofili dello 0.18 e 0.22. a secondo della tipologia di acqua a cui saranno destinati: in correnti medio-lente prive di ostacoli o medio-forti con ostacoli sul fondo (in questo caso utilizzo la bobina con lo 0.22).
I pasturatori che uso in questo tratto di fiume sono i block-end feeder, i pasturatori chiusi con piombo piatto per bigattino, il cui peso e misura varierà in funzione della forza della corrente e dell’apertura della diga di Castel Giubileo, qualche chilometro a monte del luogo di pesca.
La pesca con i pasturatori ha poche ma precise regole, una delle quali è quella di usare un pasturatore piombato quel tanto che basta a farlo rimanere fermo sul fondo; in aiuto potremmo utilizzare delle piccole accortezze come la cosiddetta “pancia del filo” ed utilizzare monofili o trecciati di diametro sottile in modo che presentino, alla forza della corrente, meno superficie possibile.
Comunque il range del peso dei block-end utilizzati in loco và da un minimo di 1 e ¾ di oz (circa 50 grammi) a 3,5 oz ( circa 100 grammi).
Per collegarli alla montatura li dovremmo montare a “pendolo” usando un antitangle storto infilato sul filo della bobina indi un ammortizzatore di gomma ed alla fine collegando al filo una girella di dimensioni adatte; all’altro capo della girella andrà attaccato il finale di 40-80 cm ( secondo l’intensità della corrente) dello 0.18 a cui andrà legato un amo del 14 a filo robusto innescato con un fiocchetto di bigattini, meglio se con qualcuno colorato (il colore rosso sembra il più valido).
Sul moschettone dell’antitangle collegheremo, nel modo chiamato a pendolo, il pasturatore idoneo che andrà prima riempito di un sottile e poco compresso strato di pastura al formaggio poi verranno inseriti i bigattini ed alla fine un altro tappo di pastura a comprimere il tutto.
Lo scopo è duplice: non solo quello di abbinare una scia attirante olfattiva all’uscita dei bigattini dai fori del pasturatore ma anche di rallentare la fuoriuscita dei bigattini stessi, dovuta alla forza dell’acqua, immediatamente dopo il lancio e durante la discesa del pasturatore sul fondo.
Dopo il lancio (che avverrà a circa 15-20 metri da noi, sul limitare della vena di corrente principale), aspetteremo che il pasturatore arrivi sul fondo e daremo qualche metro in più di filo in modo che si formi la cosiddetta pancia e che quindi la corrente non spinga in modo diretto sul filo rigido spostando il pasturatore che potrebbe, nel suo dragaggio sul fondo, incagliarsi in qualche ostacolo.
La canna da ledgering in fiume và posizionata alta e non nel classico modo basso con il vettino a sfiorare l’acqua che si attua nelle acque lentissime o ferme dei laghi; per far questo occorrono dei picchetti d’alluminio telescopici (rod rest) da rapportare alla lunghezza della canna (in questo caso almeno di due metri) da fissare sulla sponda ed alla cui sommità avvitare uno “swing rest” a V (classici appoggiacanna basculanti da ledgering).
Nelle giornate migliori non è raro allamare una ventina di barbi in una mattinata; con medie intorno ad 1,5 kg. e qualche bestiolina da oltre 3 kg.; è però possibile che le abboccate si facciano desiderare allora occorrerà allungare il terminale (sino ad 1 metro) e diminuire notevolmente il diametro dello stesso (anche 0.12) così come la misura dell’amo (16-18) ed il tipo di innesco (uno o due bigattini), per provare ad invogliare qualche barbetto recalcitrante o puntare ai maestosi cavedani che popolano quel tratto ed ai carassi.
Qui sorge però un grosso problema, non possiamo certo diminuire il diametro del filo con cui è imbobinato il mulinello, vista la possibilità di incagli ed il peso elevato dei pasturatori, ma siamo consapevoli che collegando ad uno 0.22 un finale dello 0.12 questo andrà incontro a rotture certe già dalla ferrata, vista la notevole differenza di elasticità e tenuta tra i due monofili.
Anche qui esiste un piccolo trucco (sempre ad opera e creazione del grande Mario), un’accortezza mutuata ed elaborata dall’osservazione e dall’uso di altre tecniche, che prevede la relizzazione di un elastico ammortizzatore di misura idonea da interporre tra i due fili.
Per la creazione di questo “magico” ammortizzatore si utilizza un pezzo di elastico, lungo una dozzina di cm., per roubasienne del diametro di 0.8-1.2, secondo il terminale utilizzato, ai cui estremi sono state realizzate due asole (serrando benissimo i nodi) e i cui nodi andranno coperti con delle guaine termorestringenti di diametro idoneo per impedire che il finale possa impigliarsi sui baffetti del nodo stesso. Un’asola andrà chiaramente collegata alla girella del filo di bobina, l’altra collegata al terminale.
In questo modo avremo sia un ammortizzatore in ferrata che un aiuto di elasticità in più durante le immancabili fughe del pesce e potremo così ovviare al divario di diametro e di elasticità tra i due fili.
La mangiata del barbo è inconfondibile: un continuo tremolio del vettino a cui segue una flessione molto accentuata o una violenta partenza con conseguente forte flessione dell’attrezzo….consiglio perciò sempre di tarare molto bene la frizione del mulinello, nel caso dovessimo distogliere gli occhi dalla canna o allontanarci di qualche metro, in modo che un’abboccata del genere non finisca col terminale rotto o peggio con la canna in acqua.
La sfuriata iniziale di un grosso barbo è potentissima, sembra quasi di aver attaccato sul fondo…. ma poi quel “fondo” si muove portandosi spesso in piena corrente e qui inizia la lotta, prima non si può far proprio nulla.
Il barbo cerca di portarsi nel vivo della corrente e trovare qualche ostacolo sul fondo dove poter sfregare col muso per tagliare il terminale; noi dovremmo impedirglielo, cercando di staccarlo ed allontanarlo dalle asperità del fondale, a canna alta. Anche sotto riva il barbo non è ancora vinto ma cercherà in ogni modo d’infilarsi sotto i rami dei cespugli che crescono sulle sponde o in mezzo alle alghe del sottoriva.
Una volta portato nel guadino và slamato con cura ed attenzione, mai poggiato in terra, fotografato il più in fretta possibile e rimesso in acqua!!!!!!!
Il ricordo del bel combattimento lo porteremo sempre nel nostro cuore ed impresso su una fotografia….non c’è bisogno di portare un “cadavere” come prova da far vedere agli amici per poi gettarlo nella spazzatura o darlo in pasto ai gatti; a parte che non mangerei mai un pesce preso nel Tevere a Roma….non so voi…… ma ancor meno uno stupendo barbo che potrei ricatturare tra qualche anno più grosso di prima.
Non uso mai nemmeno la nassa, come invece fanno molti pescatori per immortalare a fine pescata tutto il contenuto con foto finale,……i pesci, ed i barbi in particolare, soffrono tantissimo tra le maglie della rete sotto il sole, in acqua bassa con poca corrente e poca ossigenazione e se abbiamo intenzione di dargli comunque la libertà….. perché allora non farlo subito?
Un sincero in bocca al………barbo a tutti voi.
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